mercoledì 5 giugno 2013

INTRODUZIONE

DUE PAROLE CHIAVE: PROGRESSO E RICERCA

Thomas Mann, durante la stesura de “La Montagna Incantata”, affermò che "L'interesse alla morte e alla malattia, ai fenomeni patologici, alla decadenza non è che una variata espressione dell'interesse alla vita, all'uomo, come dimostra la facoltà umanistica di medicina”.
La cura del corpo, intesa sia dal punto di vista fisico sia psicologico, è praticamente cresciuta con l'uomo: in origine ebbe, quasi certamente, carattere istintivo e individuale ma ben presto fu oggetto di riflessione e portò alla ricerca delle cause del male. Nell’antichità la medicina era una disciplina teurgica, in cui la malattia era considerata una punizione divina, come si può evincere da un passo dell’Iliade. Le conoscenze mediche popolari erano influenzate da un forte senso magico: stregoni, guaritori, adottano formule magico-suggestive (purificazioni, esorcismi) con la finalità di ristabilire l'armonia. E’ proprio da questa armonia, da questa proporzione delle varie parti del nostro corpo, dalla cosiddetta “giustezza” che deriva il termine medicina. Il passaggio ad una medicina che possiamo definire razionale si ha soltanto con Ippocrate di Cos, vissuto in Grecia tra il 460 e il 370 a.C., che si fonda su un metodo che permette di passare dalle osservazioni alla teoria, di mettere in relazione cause ed effetti, di partire dall'analisi dei sintomi per poi arrivare alla diagnosi e alla terapia. Importantissimo è il “principio di beneficenza e di non maleficenza” di Ippocrate, che è stato recepito sia dalla cultura romana sia da quella cristiana e ha ispirato i codici di comportamento (i cosiddetti “codici deontologici”) degli stessi ordini dei medici. Al giorno d’oggi tale principio sta provocando scottanti dibattiti e il terreno di scontro è la bioetica: da una parte v sono coloro che sostengono la “sacralità” della vita o, comunque, la sua “indisponibilità” e, dall’altra, coloro che ritengono che l’uomo possa autonomamente disporne in nome della “qualità” della vita stessa. Non si tratta di un dibattito puramente accademico: sono i casi concreti che impongono una scelta talora drammatica.
La parola chiave del blog è “progresso”, collegato alla ricerca continua. L’interesse per l’uomo, per la vita e, nello stesso tempo, anche per la malattia e la morte, sono i fattori che da sempre hanno spinto la ricerca medica: l’uomo è al centro di tutto e soltanto lo studio attento del suo corpo e della sua psiche può portare a nuove scoperte, a nuove cure, a nuovi medicinali, a nuove tecnologie.
Alla base di questo progresso c’è il patrimonio di conoscenze empiriche, arricchitosi con il tempo, a partire dall’epoca classica, con la scienza alessandrina e poi con Galeno (129-200 d.C.), medico personale di Marco Aurelio. Le ricerche mediche svolte in questo periodo riguardano soprattutto l’anatomia e la fisiologia, due “arti della precisione” che rifiutano la separazione tra teoria e pratica e che costituiscono il primo passo verso la scoperta di nuove tecniche e nuove cure mediche. L’importanza di queste due discipline è dovuta al fatto che esse sono strettamente collegate all’attività pratica, all’esperienza empirica; Francesco Bacone nel De erroribus medicorum afferma che “La conoscenza pratica è, in ogni scienza precedente alla fase speculativa […] infatti, nell’esperienza, osservando gli effetti siamo spinti alla considerazione delle cause”. Il simbolo della “precisione” con cui è necessario curare il corpo umano, dell’attenzione ad ogni singolo particolare è sicuramente l’Uomo Vitruviano (databile nel 1490 circa) di Leonardo da Vinci.
Con la continua ricerca di una precisione sempre maggiore, nel corso dei millenni, la medicina, a partire da Galeno, che costituirà la massima auctoritas per tutto il Medioevo, ha conosciuto un’evoluzione straordinaria sia con il perfezionamento delle tecniche chirurgiche, sia con la continua scoperta del potere farmacologico di determinate sostanze naturali, soprattutto vegetali. Durante il Medioevo, ad esempio, nei monasteri, gli unici luoghi di cultura, veniva praticata la coltivazione di piante medicinali, che costituivano il cosiddetto “orto dei semplici”.
Nonostante i molteplici progressi, la medicina, fino alla prima metà dell’Ottocento era ancora una disciplina di tipo qualitativo, collegata “all’apparenza” del malato, ma in pochi anni, con il perfezionamento di alcuni strumenti semplici, come il termometro, con l’invenzione di strumenti medici di precisione un po’ più complessi come lo stetoscopio o lo sfigmomanometro e anche con la nascita della radiologia in seguito alla scoperta dei raggi X, ci fu il passaggio da una scienza medica approssimativa ad un “universo della precisione”.
Per tutto il Novecento si susseguirono importanti scoperte, dalla penicillina di Fleming al primo vaccino contro la poliomielite, fino ad arrivare ai primi trapianti di organi e agli studi sulla biologia molecolare, che, ai giorni nostri costituisce uno dei maggiori campi di ricerca medica, nella speranza di trovare cure sempre migliori per i tumori.
Ma in questo mondo di continui progressi non bisogna dimenticare i limiti che si impongono alla medicina nei momenti in cui questa viene a scontrarsi con l’etica ed inoltre la “disumanizzazione” del rapporto tra paziente e medico, la cui figura tende sempre più ad indentificarsi in quella di un “tecnico”, che ha a disposizione strumenti eccezionali, che gli permette di “aggiustare” quasi ogni parte del nostro corpo.

Dunque, oggi abbiamo una tecnologia eccezionale, che consente ai medici di ricostruire tutto ciò che avviene all’interno del nostro corpo e che permette di comprendere le infinite difficoltà di un medico dell’antichità, la cui figura era molto più simile a quella di un indovino. L’intento del professor Giorgio Cosmacini è proprio quello di studiare l’evoluzione del pensiero medico e di tracciare un “filo” conduttore che collega il passato all’attualità e che è caratterizzato dalla voglia di scoprire come siamo fatti e da uno sviluppo scientifico-tecnico sempre più rapido, inarrestabile, che non smette di suscitare il nostro entusiasmo.


Martina d'Onofrio